Una notevole coincidenza resuscita dalla morte per accidia questo blog, cioè la lettura consecutiva di due testi nel contempo estremamente simili e altrettanto dissonanti, entrambi molto pertinenti alla tematica del blog: la relazione stretta ma clandestina e spesso indecente che lega la letteratura alla vita vissuta. Purtroppo in questa rinascita farò qualcosa che normalmente detesto fare, per rispetto del mio e altrui tempo, segnalare un pessimo romanzo, ma lo faccio per ragioni strutturali che vanno molto al di là della singola opera, come Don Chisciotte non sto attaccando i mulini ma la realtà tutta quanta.
Il primo dei due testi è „La
verità sul caso Harry Quebert“, di Jöel Dicker, del 2012, conclamato
bestseller di uno dei giovani paladini della letteratura mondiale, la
quale nel frattempo sembra essersi disfatta di fasi ridondanti come
una sobria selezione letteraria, un laborioso supporto editoriale
ai contenuti e persino un'umile correzione di bozze, per lasciare
più stanze libere ai professionisti del marketing. Il
secondo è il più modestamente nato e onestamente sopravvissuto
negli angoli bui di alcune librerie „Il fantasma nell'armadio“
di William Somerset Maugham del 1930.
Poichè in ciò consiste proprio la
succitata dissonanza è bene che dichiari subito la personale
opinione che quest'ultimo a distanza di settant'anni resista come un
capolavoro misconosciuto della letteratura mondiale, mentre il primo
morirà di morte precoce appena assolto il suo compito di botteghino.
La loro sorprendente affinità sta invece nella trama: uno scrittore
molto conosciuto viene invitato a scrivere la storia di un altro
scrittore ancora più celebre, anzi proprio una colonna
portante della letteratura mondiale.
Vorrei però armare il mio personale
giudizio contro al semplicistico principio secondo cui non si discute
de gustibus, ma semplicemente si calcola l'incasso, facendo notare
che una descrizione ancora più pertinente di entrambe i testi potrebbe essere
questa: uno scrittore (Dicker o Maugham) scrive di uno scrittore, che
viene invitato a scrivere di uno scrittore. Pertanto si può capire
che la letteratura sia o dovrebbe essere un protagonista tematico
ineludibile per entrambe i libri. Eppure il Best seller riesce in
quasi 800 pagine, non dico a mancare, ma neppure ad avvicinarsi a
questo risultato, e questo potrebbe quasi sembrare un audace
tentativo di negazionismo riguardo al valore della letteratura. Ci
mancavano i vittimisti e complottisti della letteratura penseranno
(di me) alcuni, come se non avessimo già abbastanza problemi, prima
Trump e ora questo. Bene, cercando di non rivelare troppo e
soprattutto di non perdere troppo tempo riguardo al primo, dirò a
supporto della mia poco modesta opinione che nel libro di Dicker il
protagonista, lo scrittore e narratore, afferma di essere balzato
dalla sera alla mattina tra gli astri della letteratura con un
singolo libro!(!!), La qual cosa ci farebbe comunque pensare che lo stesso
libro che teniamo in mano dovrebbe brillare di una luce propria,
essendo appunto, nella finzione, l'ennesimo frutto di una mente così
assolutamente brillante. Ma tale imprudente affermazione non gli
basta, si espone invece fino ad affermare che lo scrittore di cui
deve raccontare la storia, il suo mentore e tuttora vivente Quebert,
è considerato uno dei grandi maestri della letteratura americana, e
anche lui solo grazie ad un singolo libro!(!!!) A questo punto ci si deve
aspettare dai dialoghi tra questi due mostri letterari qualcosa di
simile a fuochi d'artificio di genio e sensibilità. La cosa non
avviene, ma possiamo spiegare forse questo imbarazzante vuoto
narrativo attraverso un messaggio intenzionale di mr Dicker: la distanza tra
la quotidianità di uno scrittore e la sua opera scritta. Bene, ma a
questo punto il romanzo osa il massimo riportando ampi stralci di
quel libro all'interno del libro che avrebbe trasformato il più
grande dei due scrittori in uno dei pesi massimi della letteratura.
Ed è qui che l'imbarazzo tracima senza più possibilità di
contenerlo. Ci troviamo davanti a delle lettere d'amore che, non Johnatan Franzen o Alice Munro, ma gli autori di Beautiful probabilmente troverebbero un pochino sciatte ed eccessivamente
immobili:
mio
tesoro, tu non devi mai morire. Sei un angelo, e gli angeli non
muoiono mai. Come vedi, ti sono sempre vicino. Ti prego, asciugati le
lacrime. Non sopporto di saperti triste. Ti bacio, sperando di
mitigare la tua pena amore caro, che sorpresa trovare il biglietto
poco prima di andare a dormire! Ti scrivo di nascosto: la sera non si
può restare svegli dopo il coprifuoco le infermiere sono molto
severe. Ma non potevo resistere: appena letto le parole sentito il
bisogno di risponderti, solo per dirti che ti hanno. Sogno di ballare
con te. Sono sicura che balli splendidamente. Mi piacerebbe chiederti
di portarmi al ballo d'estate, ma so che non accetteresti.
E credo che con ciò ho detto tutto il
possibile riguardo al primo romanzo. Ora, se nel primo caso la trama ricca di colpi di scena crea un thriller
poliziesco giudiziario e storia d'amore, ed è essenzialmente l'unico
stimolo per il lettore ad andare avanti, pagina dopo pagina, nel
secondo caso mancano gli ingredienti del thriller, ma non quelli del
mistero e il procedere della lettura non è affidato all'inerzia
della curiosità ma ad una scrittura che è un sottile godimento per
l'intelletto e ad uno svolgimento che provoca un commovente turbamento dello spirito, oltre che ad
una raramente sincera rappresentazione di un passaggio
di epoche. Ma soprattutto, e per questo interessa a questo blog, una
riflessione molto coraggiosa sul rapporto tra letteratura e vita. La
richiesta fatta allo scrittore e narratore protagonista di aiutare a
comporre una sorta di agiografia di un defunto collega considerato
tra i grandi moderni della letteratura inglese risveglierà la
girandola dei ricordi dentro i quali non solo troverà poco spazio il
materiale agiografico e la figura del soggetto da incensare
comparirà particolarmente sfuggente e bidimensionale, ma si rivelerà un'altra figura, una donna messa ai margini dalla tenace
convenzionalità e dal pruriginoso senso della decenza inglese,
eppure straordinaria nei ricordi del protagonista. Vera
rappresentante di quell'intensità gioiosa, erotica e dolorosa che è
la vita. Una sorta di musa sbagliata, inadatta a comparire accanto ad
un busto letterario secondo i dettami dell'Accademia, che però
diventa in forza di una realtà naturale ostinatamente diversa da
quella desiderata dagli uomini, la protagonista del romanzo che
scorre tra le mani il lettore. In realta perfetta per rappresentare quella che all'inizio abbiamo chiamato la relazione stretta ma clandestina e spesso indecente che lega la letteratura alla vita vissuta.
Assieme a questa musa indichiarabile,
questo fantasma nell'armadio, W. S. Maugham ci regala una riflessione
sulla natura intima dello scrittore, e lo fa non meditando sopra
l'altro scrittore, il defunto di cui gli viene chiesto di narrare,
quasi non potessimo essere in grado con sufficiente sicurezza di
descrivere l'intimità di un altro solo perché un mestiere ci
accomuna a lui, ma riflettendo ormai anziano su se stesso alla luce
della prospettiva dei ricordi:
( la vita dello scrittore) è piena
di tribolazioni. Dapprima egli deve superare la povertà e
l'indifferenza del mondo; poi, raggiunto un certo successo, deve
sottomettersi di buona grazia ai suoi incerti, il
volubile pubblico, i giornalisti(...) i fotografi
(...), gli editori(...), le persone di rango che lo invitano a
pranzo e gli istituti che lo invitano a far conferenze, donne
che lo vogliono come marito e donne che vogliono divorziare da
lui, ,alla merce di agenti, pubblicisti, impresari, (...)
ammiratori, critici, e della propria coscienza.
Però ha un compenso. Qualsiasi cosa abbia nella mente, una riflessione assillante, dolore per la morte di un amico, amore non condiviso, orgoglio ferito, collera per il tradimento di qualcuno a cui egli ha dimostrato gentilezza, ogni emozione o perplessità, egli non ha che da buttar nero su bianco servendosene come argomento di un racconto o come ornamento di un bozzetto, e tutto magicamente diventa sopportabile. Egli è l'unico uomo libero al mondo.
Però ha un compenso. Qualsiasi cosa abbia nella mente, una riflessione assillante, dolore per la morte di un amico, amore non condiviso, orgoglio ferito, collera per il tradimento di qualcuno a cui egli ha dimostrato gentilezza, ogni emozione o perplessità, egli non ha che da buttar nero su bianco servendosene come argomento di un racconto o come ornamento di un bozzetto, e tutto magicamente diventa sopportabile. Egli è l'unico uomo libero al mondo.