venerdì 19 gennaio 2018

W. S. Maugham, Il Fantasma nell'armadio, (ed uno svelato complotto antiletterario)



Una notevole coincidenza resuscita dalla morte per accidia questo blog, cioè la lettura consecutiva di due testi nel contempo estremamente simili e altrettanto dissonanti, entrambi molto pertinenti alla tematica del blog: la relazione stretta ma clandestina e spesso indecente che lega la letteratura alla vita vissuta. Purtroppo in questa rinascita farò qualcosa che normalmente detesto fare, per rispetto del mio e altrui tempo, segnalare un pessimo romanzo, ma lo faccio per ragioni strutturali che vanno molto al di là della singola opera, come Don Chisciotte non sto attaccando i mulini ma la realtà tutta quanta.

Il primo dei due testi è „La verità sul caso Harry Quebert“, di Jöel Dicker, del 2012, conclamato bestseller di uno dei giovani paladini della letteratura mondiale, la quale nel frattempo sembra essersi disfatta di fasi ridondanti come una sobria selezione letteraria, un laborioso supporto editoriale ai contenuti e persino un'umile correzione di bozze, per lasciare più stanze libere ai professionisti del marketing. Il secondo è il più modestamente nato e onestamente sopravvissuto negli angoli bui di alcune librerie „Il fantasma nell'armadio“ di William Somerset Maugham del 1930.

Poichè in ciò consiste proprio la succitata dissonanza è bene che dichiari subito la personale opinione che quest'ultimo a distanza di settant'anni resista come un capolavoro misconosciuto della letteratura mondiale, mentre il primo morirà di morte precoce appena assolto il suo compito di botteghino. La loro sorprendente affinità sta invece nella trama: uno scrittore molto conosciuto viene invitato a scrivere la storia di un altro scrittore ancora più celebre, anzi proprio una colonna portante della letteratura mondiale.

Vorrei però armare il mio personale giudizio contro al semplicistico principio secondo cui non si discute de gustibus, ma semplicemente si calcola l'incasso, facendo notare che una descrizione ancora più pertinente di entrambe i testi potrebbe essere questa: uno scrittore (Dicker o Maugham) scrive di uno scrittore, che viene invitato a scrivere di uno scrittore. Pertanto si può capire che la letteratura sia o dovrebbe essere un protagonista tematico ineludibile per entrambe i libri. Eppure il Best seller riesce in quasi 800 pagine, non dico a mancare, ma neppure ad avvicinarsi a questo risultato, e questo potrebbe quasi sembrare un audace tentativo di negazionismo riguardo al valore della letteratura. Ci mancavano i vittimisti e complottisti della letteratura penseranno (di me) alcuni, come se non avessimo già abbastanza problemi, prima Trump e ora questo. Bene, cercando di non rivelare troppo e soprattutto di non perdere troppo tempo riguardo al primo, dirò a supporto della mia poco modesta opinione che nel libro di Dicker il protagonista, lo scrittore e narratore, afferma di essere balzato dalla sera alla mattina tra gli astri della letteratura con un singolo libro!(!!), La qual cosa ci farebbe comunque pensare che lo stesso libro che teniamo in mano dovrebbe brillare di una luce propria, essendo appunto, nella finzione, l'ennesimo frutto di una mente così assolutamente brillante. Ma tale imprudente affermazione non gli basta, si espone invece fino ad affermare che lo scrittore di cui deve raccontare la storia, il suo mentore e tuttora vivente Quebert, è considerato uno dei grandi maestri della letteratura americana, e anche lui solo grazie ad un singolo libro!(!!!) A questo punto ci si deve aspettare dai dialoghi tra questi due mostri letterari qualcosa di simile a fuochi d'artificio di genio e sensibilità. La cosa non avviene, ma possiamo spiegare forse questo imbarazzante vuoto narrativo attraverso un messaggio intenzionale di mr Dicker: la distanza tra la quotidianità di uno scrittore e la sua opera scritta. Bene, ma a questo punto il romanzo osa il massimo riportando ampi stralci di quel libro all'interno del libro che avrebbe trasformato il più grande dei due scrittori in uno dei pesi massimi della letteratura. Ed è qui che l'imbarazzo tracima senza più possibilità di contenerlo. Ci troviamo davanti a delle lettere d'amore che, non Johnatan Franzen o Alice Munro, ma gli autori di Beautiful  probabilmente troverebbero un pochino sciatte ed eccessivamente immobili:
mio tesoro, tu non devi mai morire. Sei un angelo, e gli angeli non muoiono mai. Come vedi, ti sono sempre vicino. Ti prego, asciugati le lacrime. Non sopporto di saperti triste. Ti bacio, sperando di mitigare la tua pena amore caro, che sorpresa trovare il biglietto poco prima di andare a dormire! Ti scrivo di nascosto: la sera non si può restare svegli dopo il coprifuoco le infermiere sono molto severe. Ma non potevo resistere: appena letto le parole sentito il bisogno di risponderti, solo per dirti che ti hanno. Sogno di ballare con te. Sono sicura che balli splendidamente. Mi piacerebbe chiederti di portarmi al ballo d'estate, ma so che non accetteresti.


E credo che con ciò ho detto tutto il possibile riguardo al primo romanzo. Ora, se nel primo caso la trama ricca di colpi di scena crea un thriller poliziesco giudiziario e storia d'amore, ed è essenzialmente l'unico stimolo per il lettore ad andare avanti, pagina dopo pagina, nel secondo caso mancano gli ingredienti del thriller, ma non quelli del mistero e il procedere della lettura non è affidato all'inerzia della curiosità ma ad una scrittura che è un sottile godimento per l'intelletto e ad uno svolgimento che provoca un commovente turbamento dello spirito, oltre che ad una raramente sincera rappresentazione di un passaggio di epoche. Ma soprattutto, e per questo interessa a questo blog, una riflessione molto coraggiosa sul rapporto tra letteratura e vita. La richiesta fatta allo scrittore e narratore protagonista di aiutare a comporre una sorta di agiografia di un defunto collega considerato tra i grandi moderni della letteratura inglese risveglierà la girandola dei ricordi dentro i quali non solo troverà poco spazio il materiale agiografico e la figura del soggetto da incensare comparirà particolarmente sfuggente e bidimensionale, ma si rivelerà un'altra figura, una donna messa ai margini dalla tenace convenzionalità e dal pruriginoso senso della decenza inglese, eppure straordinaria nei ricordi del protagonista. Vera rappresentante di quell'intensità gioiosa, erotica e dolorosa che è la vita. Una sorta di musa sbagliata, inadatta a comparire accanto ad un busto letterario secondo i dettami dell'Accademia, che però diventa in forza di una realtà naturale ostinatamente diversa da quella desiderata dagli uomini, la protagonista del romanzo che scorre tra le mani il lettore. In realta perfetta per rappresentare quella che all'inizio abbiamo chiamato la relazione stretta ma clandestina e spesso indecente che lega la letteratura alla vita vissuta.
 Assieme a questa musa indichiarabile, questo fantasma nell'armadio, W. S. Maugham ci regala una riflessione sulla natura intima dello scrittore, e lo fa non meditando sopra l'altro scrittore, il defunto di cui gli viene chiesto di narrare, quasi non potessimo essere in grado con sufficiente sicurezza di descrivere l'intimità di un altro solo perché un mestiere ci accomuna a lui, ma riflettendo ormai anziano su se stesso alla luce della prospettiva dei ricordi:
( la vita dello scrittore) è piena di tribolazioni. Dapprima egli deve superare la povertà e l'indifferenza del mondo; poi, raggiunto un certo successo, deve sottomettersi di buona grazia ai suoi incerti, il volubile pubblico, i giornalisti(...) i fotografi (...), gli editori(...), le persone di rango che lo invitano a pranzo e gli istituti che lo invitano a far conferenze, donne che lo vogliono come marito e  donne che vogliono divorziare da lui, ,alla merce di agenti, pubblicisti, impresari, (...) ammiratori, critici, e della propria coscienza. 
Però ha un compenso. Qualsiasi cosa abbia nella mente, una riflessione assillante, dolore per la morte di un amico, amore non condiviso, orgoglio ferito, collera per il tradimento di qualcuno a cui egli ha dimostrato gentilezza, ogni emozione o perplessità, egli non ha che da buttar nero su bianco servendosene come argomento di un racconto o come ornamento di un bozzetto, e tutto magicamente diventa sopportabile. Egli è l'unico uomo libero al mondo.

martedì 25 agosto 2015

they can make us disappear,
closing their eyes,
turning bookshops,
to magic nail drops
pushing selfiesness,
swallowing tablets
but even the last of us,
with his best brainfriend
shining letters in his hands
will be an army against the dark

http://www.telerama.fr/livre/le-lecteur-une-espece-menacee%2C130294.php?utm_content=buffer098c3&utm_medium=social&utm_source=facebook.com&utm_campaign=buffer


lunedì 23 settembre 2013

Lee Stringer - "Inverno alla Grand Central " o della droga di scrivere


 Lee Stringer a 34 anni dopo un'incerta carriera come grafico pubblicitario si é messo a farsi di crack. É andato avanti oltre dieci anni, per la maggior parte vissuti per strada a NewYork, inverno, primavera, estate, autunno e ancora inverno. L'inverno é una stagione che si fa notare a New York. Solo un senzatetto sa davvero se le mezze stagioni siano davvero sparite,ma gli importa poco perché le giornate hanno molta piú importanza. Se t'impigli in un' esistenza senza futuro, nel loop della dipendenza e della sopravvivenza stentata, ogni giornata é una vita. Per campare Lee sfrutta quella benedetta iniziativa ecologica che impone di vendere le bibite a 5 cent piú care e a ripagarne per la stessa cifra i vuoti. Poi alcue leggi draconiane della giustizia benpensante NewYorkese rendono difficile la riscossione dei vuoti. Ma un'altra iniziativa benedetta dá a lui e a molti come lui un altro po' di ossigeno e anche qualcosa di piú: Street News, il primo giornale pensato per essere distribuito da homeless, permette a questi di tirar su fino a 100 dollaroni, ...Oggi non é piú una novitá, ma negli ani 80, gli anni dell'affarismo come religione, un' idea che faceva fare soldoni ai suoi fondatori e permetteva ai disperati di vivere senza furti rappresentó la massima sintesi del genio, provvidenza e affari fusi in uno.
Lee era un buon venditore, perché era un volpone del marketing, ma per via del fatto che aveva tra i pochi oggetti in suo possesso una matita (per scrostare la pipetta del crack) scopre quasi involontariamente di essere anche uno che sa mettere in fila delle parole scritte, e farle ballare. Scopre che per lui questa danza delle parole e delle storie puó competere con l'altro sballo, quello micidiale e paradisiaco del crack. Non é solo una sua impressione, dovuta magari a stati allucinatori. Anche i redattori del giornale iniziano a prenderlo in considerazione non solo come venditore, gli pubblicano dei pezzi e poi lo nominano editor. Non smette di fumare crack, ma ha assunto uno status che ridá senso alla sua vita, e questo linfa con gli anni prende il posto dell'altra. Poi capita che Kurt Vonnegut noti i suoi scritti e pensi che lui é la dimostrazione lampante di come il talento della scrittura sia una cosa tanto preziosa quanto innata. Cosí incoraggiato Lee stringer ha scritto questo libro che gli dá e i mezzi per tornare a vivere. Quando dico i mezzi non vi ingannate, non parlo solo di soldi, ma soprattutto i mezzi spirituali. Il deficit di chi vive per la strada e/o si intossica di qualche veleno é quasi sempre prima spirituale e poi materiale.
Allo stesso modo il valore di questo libro non sta principalmente nella sua concretezza, sebbene lui scriva senza fronzoli e senza idealizzazioni della vita da paria, dando una testimonianza preziosissima di cosa sia vivere in strada e farsi le vacanze in gattabuia. No, il valore dell'opera é innanzitutto letterario, Stringer scrive da maestro, perché ha un cervello di prim'ordine. Se immaginate resoconti drammatici e strappalacrime siete fuori strada, é lucido, ma come i grandi scrittori, quelli che io definisco tali, non si lascia mai intrappolare dal patetismo. Non lo fa Primo Levi parlando dei campi di concentramento, non lo fa Vonnegut parlando del bombardamento di Dresda. Come in quei casi anche la prosa di Stringer resta brillante, priva di risentimenti, non si impantana nel dolore, perché  la scrittura perderebbe un po' di senso, come che la vita l'avesse vinta su di noi ancora prima del tempo, invece la penna, per quanto male possano essere andate le cose é una vela soppravvissuta alla tempesta. Ma nell'ultima parte del libro Stringer, che non ha mai frequentato Harvard o Princeton, sciorina le piú semplici e profonde lezioni di antropologia urbana, da far sfigurare non solo la folta classe dei politicanti, che non é poi questa impresa, ma quella dei vari giornalisti, esperti ed opinionisti emeriti. Pensiero di prim'ordine espresso con prosa di prim'ordine sulla tossicodipendenza, sulle politiche di sostegno e recupero, sul razzismo, sul rapporto tra politica e individuo, sulla differenza tra religione e spirito. E sul linguaggio, che come sempre nasconde il nocciolo della questione.
"noi tendiamo a rivolgerci alla legislazione per imporre ció che desideriamo avvenga in quanto popolazione ma che siamo incapaci di attuare in quanto individui. Ed é un modo maldestro e, in definitiva, inefficace di essere umani gli uni con gli altri."(trad. Delfina Vezzoli)
L'importanza di questo scrittore, della sua vicenda e del suo libro, per questo blog in particolare, sta nel fornire una statuaria dimostrazione di come la letteratura, la scrittura in genere, siano il piú potente e benefico tra i metadoni, di come l'amore per il linguaggio, per le storie, per la condivisione accurata delle cose della vita, aiuti a capire piú a fondo e nel capire aiuti prima a sopportare e poi anche a godere piú profondamente dell' esistenza, la quale puó altrimenti avere un senso compiuto e amichevole solo per coloro che non se lo chiedono mai davvero.

giovedì 2 maggio 2013

Sherwood Anderson - Winesburg, Ohio



Mr Anderson era quasi ricco, quasi felice, imprenditore avviato, cittadino ben introdotto, i figli crescevano. Allora lui scappò.
Si chiamava Sherwood, come la foresta inglese che, pupilla impenetrabile,  osservava le diseguaglianze del regno di Riccardo Cuor di leone e compiva gesti eroici, ribaltando carrozze e senso comune per ricolmare le distanze. Sherwood Anderson fu uno degli scrittori piú influenti per la moderna letteratura americana, per pesi massimi quali Faulkner, Steinbeck, Hemingway. Oggi è un esimio sconosciuto.
Nacque senza radici forti né privilegi, crebbe mentre tutto attorno andava a pezzi, il padre operaio produceva briglie e finimenti per carrozze, in un'epoca in cui si iniziava a puntare tutto sulle macchine, doveva spostare la famiglia di qua e di la in cercca di lavoro. Sherwood è di quegli scrittori che ha praticato mille mestieri sin dall'adolescenza lasciando persino la scuola prima del diploma per essere d'aiuto alla famiglia. È proprio la famiglia a procurargli la sua prima riserva di esperienze indelebili, con trasferimenti continui, rovesci finanziari, alcolismo del padre, morte per tubercolosi della madre. Si trasferisce a Chicago e dopo pochi anni, per sfuggire definitivamente alla morsa del karma familiare, eccolo a Cuba, arruolato nella guerra Ispano-americana... Arruolarsi in guerra per sfuggire la famiglia, già questo cameo dovrebbe far riflettere quanti si arroventano la lingua parlando della sacralità della famiglia.
Tornato dalla guerra inizia a frequentare un entourage di artisti a Cleveland che paradossalmente gli facilita l'ingresso nel mondo degli affari attraverso il piú noto dei vasi comunicanti tra soldi e arte. Infatti viene assunto e molto apprezzato nel ruolo di  Copywriter. Altro spunto interessante riguarda il numero di scrittori finiti nella trappola di questo mestiere, il pubblicitario, che se da un lato segna il rapporto piú felice tra affari e arte, giovando agli affari, dall'altro segna quello piú grigio tra arte e affari, portando aspiranti artisti nell' l'infame opportunitá di produrre arte ripudiando uno dei presupposti dell'arte: la genuinità, l'urgenza gratuita, sostituendo la vendita di concimi chimici o lassativi all'elan vital.
Comunque nel 1912, a 36 anni, é nel pieno della sua seconda vita. Ha definitivamente lasciato alle spalle una precaria esistenza di sacrifici, è proprietario e fondatore dell' azienda di successo Anderson Company, la moglie proviene da una facoltosa famiglia di Chicago, ha tre figli, insomma è molto ben avviato sulla strada dell'impersonificazione del sogno americano, o per lo meno ben amalgamato al fascino discreto della borghesia.
Ma a quel punto accadde qualcosa di strano, forse sbagliato, come una carrozza che in piena corsa si rovescia. Sherwood Scompare. Riapparve dopo 4 giorni con tutti i sintomi di chi ha avuto un crollo nervoso. Siamo giá nell'epoca in cui queste cose si diagnosticano. Di solito é l'agiografia a riservarci questi episodi di rinascita, redenzione: San Paolo sulla via di Damasco, Sant'Agostino, SanFrancesco, tutti e tre ex soldati. Altrimenti queste storie sono nascoste nelle cartelle mediche dei manicomi. Sherwood dirá di aver sperimentato una rottura cosciente della sua esistenza materialistica, questo episodio successivamente ne certificherà lo spirito eroico romantico presso vari scrittori contemporanei.
Il crollo nervoso di un uomo di successo significativamente sará un elemento ricorrente nei migliori momenti della letteratura Americana, vedasi buona parte dei romanzi di Vonnegut, innanzitutto Mattatoio nr 5, La colazione dei campioni e Mr Rosewater, o quelli di Richard Yates, primo tra tutti Disturbing the peace.
Pur dopo essere caduto sulla via di Damasco siamo al princpio dei tempi moderni, quelli di Chaplin, non ci fu agiografia e per fortuna non ci fu il manicomio. Sherwood non abbandona tutto in nome dell'arte, si limita ad abbandonare Cleveland, la moglie, i figli e l'azienda, ma riprende il lavoro di Copywriter a Chicago. Comunque intensifica la sua attività di scrittore iniziata un paio d'anni prima. E dopo pochi anni nel 1919 pubblica Winesburg Ohio, il suo principale successo. Seguiranno diverse altre opere, quasi sempre di racconti brevi, ma anche romanzi, saggi e poesie, molti mai tradotti in Italia.
Dopo un secolo dall'inizio della sua avventura letteraria la sua prosa speciale non ha perso mordente e la sua speciale magia. Benché sia, come il titolo Winesburg Ohio lascia immaginare, sempre ancorato a dettagliati sfondi americani, la sua indagine nell'animo umano conserva il suo valore universale, ancora ci sconcertano quelle sue strane radiografie del reale. Vinicio Capossela, ispirato da Anderson al punto di aver scritto un capolavoro come “La Faccia della Terra” in ricordo della sua opera maggiore, ha rintracciato nel villaggio Winesburg di Anderson ogni comunità fatta di personaggi strambi, solitudini contigue, ricordi intimi, quella zolla di terra che si porta sotto le scarpe chi fugge e quella crosta di perbenismo che ricopre fobie e rimorsi di chi resta.
Il protagonista comune a questi racconti, é un aspirante scrittore, il cui occhio e la cui fame di storie non lo preservano dal finire dentro molte di queste storie e dal patire gli sbandamenti dell'esistenza. Ecco una delle magiche spirali di Sherwood Anderson: come in Don Chisciotte si parla dell'opera all'interno della stessa opera. Soprattutto nel racconto The Thinker il narratore descrive il personaggio di se stesso, in preda alla propria vanitá di aspirante scrittore, sempre in cerca di avventure da trasformare in parole stampate, che arriva persino a manipolare e suscitare i fatti per poi poterli descrivere, come uno dei tanti personaggi che cercano grottescamente di afferrare un sogno. Ma il messaggio per noi lettori va oltre le parole del narratore che si pone al ridicolo livello di tutti gli altri. Perché se é come gli altri nel momento in cui un giorno arriva a capirlo e a descriversi. Una certa crudele sinceritá demarca la linea tra i molti scrittori di professione e quelli che sono scrittori di vita, che hanno il coraggio di mettersi in gioco e non astrarsi dietro ad un ruolo. Questi sono quelli che trovano spazio in questo blog, i funamboli senza rete che ci insegnano a tenere gli occhi aperti sul doppio abisso, quello della realtá vissuta, toccata e quello della realtá virtuale, percepita, indagata, mentita, raccontata.
Forse proprio la soffusa originalitá della sua scrittura ha finito per essere causa del suo incostante e breve successo. In un certo senso resta uno scrittore piú apprezzato dagli scrittori che dai lettori. Non c'é nulla di facile nel suo gioco. Sebbene le sue storie possano commuovere e intrigare, abbiano momenti di crudeltà e colpi di scena, esse non presentano una trama ben marcata, soprattutto per i canoni della letteratura americana, affidando spesso i cambi di scena agli oscuri colpi di sole dell'animo umano. I critici hanno spesso sottolineato in lui la novità dell'elemento Freudiano, ma questo elemento resta un affluente successivo in una personalità che visse in prima persona, molto prima che sui libri, l'inquietudine di un esistenza sballottata tra sogni e bisogni, e il marasma delle anime perdute che fuggono la follia e la solitudine tramite la condivisione di paure o pregiudizi. Sebbene la sua scrittura possa risultare piacevole e spesso poetica, senza essere mai ermetica, pure essa può apparire un po' oscura e sdrucciolevole,... non complicata, egli caldeggiava la semplicità dello stile, ma concettualmente contorta, affaticata dal continuo procedere nella mota torbida dell'animo umano,... insomma può sembrare inesperta, all'occhio inesperto. Richiede attenzione la sua ben congegnata prosa. In questo senso forse egli è stato anche un precursore della sofisticatissima ingenuità di Kurt Vonnegut, infatti ha con lui molti tratti in comune, primo dei quali l'impressione per il lettore di un perspicace incespicare: il linguaggio di Anderson appare quasi insicuro, praticamente colloquiale, con continue correzioni e tentativi di riuscire ad esprimere esattamente un concetto.
Spesso può sembrare che lo smarrimento sia definitivo, che non vi sia concetto da afferrare, verità da esprimere, che nel pacco regalo che contiene un altro pacco regalo che ne contiene un altro alla fine non ci sia che dubbio. Invece alla fine ne sortisce una farfalla di una bellezza speciale dal colore cangiante, somma dei riflessi dei vari ornamenti.
Nel racconto introduttivo, cornice dei racconti dell'Ohio si puó ricavare l'incantevole cifra filosofica e stilistica di Anderson
At his desk the writer worked for an hour. In the end he wrote a book which he called “The Book of the Grotesque.” It was never published, but I saw it once and it made an indelible impression on my mind. The book had one central thought that is very strange and has always remained with me. By remembering it I have been able to understand many people and things that I was never able to understand before. The thought was involved but a simple statement of it would be something like this: That in the beginning when the world was young there were a great many thoughts but no such thing as a truth. Man made the truths himself and each truth was a composite of a great many vague thoughts. All about in the world were the truths and they were all beautiful.
The old man had listed hundreds of the truths in his book. I will not try to tell you of all of them. There was the truth of virginity and the truth of passion, the truth of wealth and of poverty, of thrift and of profligacy, of carelessness and abandon. Hundreds and hundreds were the truths and they were all beautiful.
And then the people came along. Each as he appeared snatched up one of the truths and some who were quite strong snatched up a dozen of them.
It was the truths that made the people grotesques. The old man had quite an elaborate theory concerning the matter. It was his notion that the moment one of the people took one of the truths to himself, called it his truth, and tried to live his life by it, he became a grotesque and the truth he embraced became a falsehood.
You can see for yourself how the old man, who had spent all of his life writing and was filled with words, would write hundreds of pages concerning this matter. The subject would become so big in his mind that he himself would be in danger of becoming a grotesque

Ecco la farfalla, ma tempo che essa colpisca la nostra retina e subito la lascerà andare, lasciandoci questa impressione rovesciata di bellezza profonda che come una pennellata ogni tanto riemerga da questa scrittura mobile, senza che essa diventi sentenza, filosofia, ideologia.
Se la narrativa americana deriva da quella inglese il suo affidarsi più alla storia, alla trama, che alle riflessioni filosofiche dello scrivente, cercando di essere più informativa che formativa, e facendo largo uso dell'understatement, del non detto, dell'intelligenza del lettore, pure quando in essa vi si introduce della filosofia o della morale, come in Melville prima di lui e in Steinbeck dopo, questa sembra destituire sé stessa da ogni cattedra, da ogni pulpito, restando comunque ogni idea un fiore della storia e non viceversa come in tante scritture europee, Manzoni, D'annunzio, Pirandello, Hesse, Mann, Nietsche, Proust, Sartre. La scrittura di Sherwood Anderson è uno degli esempi lampanti di questa attitudine di saggezza soft, come lo sarà mezzo secolo dopo la sorprendente scrittura di Vonnegut, la sua scrittura profondamente morale che peró culmina nel suo Bokonon, il fondatore di una religione il cui primo assunto è che sono tutte panzane.

In vari punti ne i racconti dell'Ohio il narratore ammette la propria inadeguatezza di fronte agli abissi dell'anima e dice che ci vorrebbe un poeta, un poeta lui si saprebbe spiegare quelle sottili sfumature del labirinto che ogni uomo si porta dentro. Ecco questo scrittore, in cui la critica mainstream ritrova Freud, non si appella né al filosofo né allo psicologo per spiegare ciò che è più difficile spiegare, ma al poeta. Ci sta dicendo con la sua prosa, che non é una questione di intelligenza, di grandi idee, quanto una questione di linguaggio, come avrebbe fatto pochissimi anni dopo, lo racconta un altro articolo di questo blog funambolo, Marguerite Yourcenar in Alexis,.
Insomma dalla scrittura di Anderson emerge potente uno dei concetti chiave di questo blog e che mi fa preferire la narrativa a qualsiasi altra forma di educazione, di intrattenimento, di droga o fede che dir si voglia per imparare il mestiere di vivere. Anderson cerca si di perforare l'animo umano, ma non cede mai alla sentenza, al giudizio irreversibile, quanto invece si sforza di affidarsi, rabdomante, alla sincerità del racconto, anche quando essa sembra portarci nella nebbia, ci avvicinerà alla comprensione più intimamente di quanto possa un assolutista Nietsche, senza folgorarci ma accompagnandoci, insomma sembra emergere quella lezione tanto connaturata alla letteratura inglese e americana, che però vogliamo riassumere con le parole di Borges l'argentino, grande estimatore della letteratura angloamericana: Nulla si insegna, tutto si racconta.